Cosa accade in una separazione con negoziazione assistita in caso di “no” del PM ?
E’ stato affrontato dal Tribunale di Torino il tema della mancata autorizzazione da parte del PM all’accordo di separazione raggiunto con negoziazione assistita. La sentenza pone particolare rilievo al profilo della procedura, mettendo in evidenza che il rinvio al Presidente del Tribunale non implica in sè l’instaurazione di un procedimento giudiziale di separazione (che verrebbe infatti introdotto irritualmente da un atto de-giurisdizionalizzato) per il quale prevede comunque la presentazione di un ricorso, con archiviazione del procedimento di separazione con negoziazione assistita (per rinuncia allo stesso).
Nel caso in cui le parti non ritengano necessario depositare un ricorso integrativo per l’introduzione di un normale procedimento giudiziale di separazione, quindi, potranno aderire ai rilievi del PM davanti al Presidente, o formulare istanza di integrazione dell’accordo raggiunto con negoziazione assistita, integrando i punti dell’accordo stesso secondo i rilievi del PM. Sarà il Presidente stesso a autorizzare l’accordo, facendo quindi salvo l’atto de-giurisdizionalizzato.
L’interessante Sentenza del Tribunale di Torino, approfondisce in via operativa, il tema del “mancato placet” del PM, rispetto al contenuto di un Accordo, raggiunto a seguito di Negoziazione Assistita, in materia di famiglia che, giusta la legge 162/14, abbia seguito la via della de-giurisdizionalizzazione.
In prima battuta, riprendendo il forte richiamo alla competenza ed alla responsabilità professionale come dote più che mai necessaria, in capo agli Avvocati che si apprestano a seguire con la loro opera i coniugi, guidandoli nel percorso di negoziazione assistita, che si trae dalla Relazione di accompagno alla Legge nr. 162/14, non possiamo non sottolineare come, in questo specifico caso, dalla lettura della sentenza si evinca la esistenza di una grossolana mancanza che, seguendo il racconto della Dottoressa Michela Tamagnone (Presidente della sezione che si occupa della famiglia presso il Tribunale Torinese) che di fatto ha costretto il PM a non prestare la propria “autorizzazione”.
Nel caso de quo ci troviamo, come ci segnala il richiamo ad una Autorizzazione, in presenza di un Accordo raggiunto a seguito di una Negoziazione Assistita, che doveva specificamente regolare anche gli obblighi genitoriali in favore dei figli bisognosi di tutela, come previsto, ad abundantiam, anche dalla norma che ha introdotto la via della De-giurisdizionalizzazione !
Non v’è chi non veda, quindi, come l’Ufficio del PM abbia in concreto rilevato, rifiutando l’autorizzazione, una grave “omissione del contenuto” dello stesso accordo: le parti, pur assistite dai rispettivi due legali, si sono “dimenticate” di regolare la misura e le modalità del contributo al mantenimento sulle stesse gravante, ex lege, rispetto al comune figlio maggiorenne, ma ancora non autosufficiente sotto l’aspetto economico.È per altro evidente come, ove il medesimo accordo, avesse preso la via giurisdizionale venendo presentato come Ricorso per la Separazione Consensuale con richiesta della relativa Omologa, il Presidente del Tribunale di Torino si sarebbe, ovviamente, dovuto opporre, nel corso della udienza presidenziale, rilevando la mancanza di ogni previsione, per il soddisfacimento dell’onere, esistente in capo ad entrambi i genitori, di “contribuire al mantenimento del comune figlio”.
V’è da dire che, nello svolgersi dell’udienza presidenziale, l’ipotizzata omissione si sarebbe potuta correggere, come spesso accade quando rispetto al contenuto del Ricorso consensuale l’opera del presidente, interviene, con il beneplacito delle parti presenti, a specificare meglio alcuni aspetti dell’accordo, da sottoporre alla successiva omologa.
Al contrario l’iter dell’Accordo raggiunto nell’ambito della de-giurisdizionalizzazione non consente alcun “correttivo”, potendo il passaggio presso l’ufficio del PM consentire solo due esiti: il rilascio o il non rilascio del placet.
La mancata previsione di un “elemento essenziale” nell’Accordo separativo ed il conseguente mancato rilascio dell’autorizzazione del PM ha, in ogni caso, il pregio di aver generato uno dei primi “pronunciamenti” in merito al percorso che si dovrà seguire nel caso di un Accordo separativo che “non abbia” l’autorizzazione del PM.
I principi ermeneutici affermati dal Tribunale di Torino, intervengono infatti ad illustrare sia la natura della “Autorizzazione”, sia il successivo “iter procedimentale” che può immaginarsi come necessario in forza del dettato normativo.
In merito al primo aspetto, l’Autorizzazione di un Accordo separativo, scaturito da una negoziazione assistita, è un vero e proprio nuovo istituto, “una fattispecie di nuova creazione, integralmente alternativa al procedimento giurisdizionale” dice espressamente la sentenza.
Tale precisazione non è di poco conto, perché con il deposito dell’accordo i due coniugi per il tramite dei rispettivi avvocati, non hanno inteso formulare alcuna domanda alla Giurisdizione, ma anzi, si sono limitate a chiedere all’Ufficio Affari Civili del Pubblico Ministero, la sola “evasione” della procedura di rilascio, concorrendone i requisiti di legge, del nulla osta o dell’autorizzazione.
Pertanto, nel caso in cui il PM rilevi la mancanza di un “requisito minimo dell’accordo” che, ex lege, debba ritenersi essenziale, lo stesso ha l’obbligo di “non rilasciare” la richiesta autorizzazione e di rimettere gli atti al Presidente del Tribunale per i successivi adempimenti.Non di meno il “deposito” dell’atto, presso l’ufficio Affari Civili del PM per l’attività dell’Ufficio, mai potrà conferire a quella documentazione, la valenza di una “domanda” introduttiva di una “istanza alla giurisdizione”.
La sentenza di Torino, nell’evidente necessità di dover dare un “senso concreto” alla previsione normativa (art. 6, II co.) per la quale dopo aver ricevuto l’accordo bocciato il Presidente “… fissa entro i successivi trenta giorni, la comparizione delle parti e provvede senza ritardo” ha dovuto affrontare la genericità della disposizione rilevando, correttamente, come questa sollevasse “non pochi dubbi interpretativi” e questo sia in relazione all’organo avanti al quale detta udienza deve tenersi, sia in relazione al contenuto del “provvede senza ritardo” previsto per la successiva attività giurisdizionale.
Quanto all’organo si è osservato, con molta attenzione, come a seconda del contenuto dell’accordo, sia diverso l’organo giurisdizionale cui la domanda deve essere posta seguendo l’iter del codice di rito: questo perché gli Accordi separativi che si raggiungono a seguito di una negoziazione assistita, quando abbiano a regolare una consensuale hanno il loro omologo giurisdizionale in un Ricorso per la separazione consensuale che viene trattato in comparizione dal Presidente del Tribunale: diversamente dagli Accordi per la modifica delle condizioni o di quelli che vogliano regolare la cessazione degli effetti civili del matrimonio, domande giudiziali per le quali: “la comparizione è fissata dal Tribunale in composizione collegiale”.
Per altro, come nota felicemente l’estensore della Sentenza in commento, non è affatto possibile ritenere come “a seguito della mancata autorizzazione del PM” l’Accordo si possa trasformare, sic et simpliciter, in una “domanda giurisdizionale” cui idealmente potrebbe far seguito il tipo del provvedimento, previsto dal codice di rito (omologa, sentenza di cessazione o decreto ex art. 710 – nel caso delle modifiche) per evadere una domanda di giustizia per le fattispecie regolate dall’art. 6 della legge nr. 162/14, e comunque non può sottacersi come per ottenere una delle pronunce giurisdizionali prima citate debba intervenire una “richiesta di parte” nel rispetto di tutte le norme sul principio della formalizzazione di un istanza alla Giurisdizione.
Diversamente ci si troverebbe al cospetto di un “mostro” giuridico per il quale l’accordo de-giurisdizionalizzato, in mancanza del placet del PM, darebbe ingresso, ex se, ad una procedura giurisdizionale, che si concludesse poi, pur in assenza di domanda, con uno dei provvedimenti previsti dall’ordinamento: Omologa, sentenza o decreto di modifica.L’interpretazione corretta del dettato normativo può dunque essere quella che, in forza del riconoscimento all’Accordo (raggiunto a seguito di negoziazione assistita) della dignità di una nuova fattispecie, assolutamente innovativa rispetto al panorama esistente, l’iter da seguire sia così prospettabile: trasmesso l’accordo non munito del placet al Presidente questi fissi udienza, consentendo peraltro alle parti – così da permettere alle stesse di non aderire supinamente ai rilievi dell’Ufficio del PM e quindi di poter introdurre delle modifiche sostanziali all’Accordo depositato – di formalizzare una specifica istanza in tal senso, che quindi andrà discussa all’udienza fissata.
Osserva il Tribunale di Torino come, ove le parti non abbiano depositato alcun ricorso “integrativo” dell’Accordo e le stesse “comparendo davanti al Presidente dichiarino di aderire pienamente ai rilievi effettuati dal PM, l’accordo potrà essere autorizzato dal Presidente (di conseguenza restando nell’alveo della de-giurisdizionalizzazione di cui alla L.162/14)”.
Al contrario, ove le parti abbiano integrato, giusto lo specifico provvedimento di fissazione dell’udienza per la comparizione delle parti, l’originario Accordo – non autorizzato- con una domanda giudiziale, nel rispetto dei canoni procedurali, ben si potrà considerare il primitivo accordo “rinunciato” con l’archiviazione del relativo fascicolo e la contestuale discussione, nella medesima udienza, del “nuovo” procedimento, iscritto al ruolo giusta la domanda “giurisidizionale” correttamente formulata, così potendo provvedere “senza indugio” nel merito, con il successivo passaggio della relativa pronuncia, avanti al PM per gli adempimenti normativi previsti dalla via ordinaria.