Separazione in Comune con assegno mensile di mantenimento

E’ possibile separarsi o divorziare davanti al Sindaco o all’Ufficiale di Stato civile del Comune se i coniugi hanno stabilito un assegno di mantenimento ?

Il Consiglio di Stato rivede l’interpretazione della norma: è possibile separarsi in Comune anche se i coniugi hanno stabilito un assegno di mantenimento.

Separazione in Comune con assegno mensile di mantenimento. La Legge che ha introdotto la possibilità di separarsi o divorziare davanti al Sindaco o all’Ufficiale Giudiziario ha dato origine a una questione che ha dato vita a una questione dibattuta.

Posto che la Legge specifica che non è possibile separarsi in Comune in presenza di “patti di trasferimento patrimoniale” (espressione piuttosto ampia e interpretabile) la dottrina e la giurisprudenza si sono interrogati su cosa rientrasse in tale concetto.

Da un lato, sicuramente, vi rientra ad esempio il trasferimento di un immobile (o di una sua quota), dall’altro era dubbio se vi rientrasse anche l’assegno mensile di mantenimento.

La storia dell’interpretazione.

Inizialmente il Ministero dell’Interno ha ritenuto che nel concetto di “patti di trasferimento patrimoniale” non fosse compreso l’eventuale assegno mensile di mantenimento, quindi i coniugi che prevedevano tale assegno potevano separarsi (o divorziare) in Comune.

Poi, con sentenza n° 7813 del 7/7/2016, il TAR del Lazio si è espresso in maniera opposta, specificando che la previsione dell’assegno mensile di mantenimento costituisce “trasferimento patrimoniale” tra i coniugi e, quindi, agli stessi, sarebbe vietato rivolgersi al Comune per separarsi o divorziare.

Infine con la sentenza n° 4478 del 26/10/2016 il Consiglio di Stato ha annullato la sentenza n° 7813/2016 del TAR, sposando quindi l’orientamento iniziale dell’interpretazione Ministeriale.




I coniugi che prevedono un assegno di mantenimento possono separarsi o divorziare in Comune ?

La situazione attuale.

In seguito alla sentenza del Consiglio di Stato n° 4478 del 26/10/2016 i coniugi che vogliono separarsi o divorziare possono rivolgersi al Comune anche se hanno stabilito il pagamento di un assegno mensile di mantenimento in favore del coniuge economicamente più debole.

Discorso a parte va fatto nel caso in cui i coniugi stabiliscano il pagamento di un assegno una tantum, in questo caso il Consiglio di Stato ha condiviso l’orientamento del Ministero per il quale tale assegno rientri nel concetto di “trasferimento patrimoniale”, con la conseguenza, quindi, del divieto di rivolgersi al Comune per la separazione e il divorzio nel caso in cui sia previsto tale pagamento.

In tale caso è comunque consigliabile sentire il parere di un Avvocato, posto che la previsione di un assegno una tantum presuppone la rinuncia all’assegno mensile di mantenimento.

Ogni situazione personale va analizzata attentamente, caso per caso, è il parere di un professionista è sempre consigliabile al fine di prendere le decisioni migliori.

 




Separazione con negoziazione assistita, caso di “no” del PM

Cosa accade in una separazione con negoziazione assistita in caso di “no” del PM ?

E’ stato affrontato dal Tribunale di Torino il tema della mancata autorizzazione da parte del PM all’accordo di separazione raggiunto con negoziazione assistita. La sentenza pone particolare rilievo al profilo della procedura, mettendo in evidenza che il rinvio al Presidente del Tribunale non implica in sè l’instaurazione di un procedimento giudiziale di separazione (che verrebbe infatti introdotto irritualmente da un atto de-giurisdizionalizzato) per il quale prevede comunque la presentazione di un ricorso, con archiviazione del procedimento di separazione con negoziazione assistita (per rinuncia allo stesso).

Nel caso in cui le parti non ritengano necessario depositare un ricorso integrativo per l’introduzione di un normale procedimento giudiziale di separazione, quindi, potranno aderire ai rilievi del PM davanti al Presidente, o formulare istanza di integrazione dell’accordo raggiunto con negoziazione assistita, integrando i punti dell’accordo stesso secondo i rilievi del PM. Sarà il Presidente stesso a autorizzare l’accordo, facendo quindi salvo l’atto de-giurisdizionalizzato.

L’interessante Sentenza del Tribunale di Torino, approfondisce in via operativa, il tema del “mancato placet” del PM, rispetto al contenuto di un Accordo, raggiunto a seguito di Negoziazione Assistita, in materia di famiglia che, giusta la legge 162/14, abbia seguito la via della de-giurisdizionalizzazione.

In prima battuta, riprendendo il forte richiamo alla competenza ed alla responsabilità professionale come dote più che mai necessaria, in capo agli Avvocati che si apprestano a seguire con la loro opera i coniugi, guidandoli nel percorso di negoziazione assistita, che si trae dalla Relazione di accompagno alla Legge nr. 162/14, non possiamo non sottolineare come, in questo specifico caso, dalla lettura della sentenza si evinca la esistenza di una grossolana mancanza che, seguendo il racconto della Dottoressa Michela Tamagnone (Presidente della sezione che si occupa della famiglia presso il Tribunale Torinese) che di fatto ha costretto il PM a non prestare la propria “autorizzazione”.

Nel caso de quo ci troviamo, come ci segnala il richiamo ad una Autorizzazione, in presenza di un Accordo raggiunto a seguito di una Negoziazione Assistita, che doveva specificamente regolare anche gli obblighi genitoriali in favore dei figli bisognosi di tutela, come previsto, ad abundantiam, anche dalla norma che ha introdotto la via della De-giurisdizionalizzazione !
Non v’è chi non veda, quindi, come l’Ufficio del PM abbia in concreto rilevato, rifiutando l’autorizzazione, una grave “omissione del contenuto” dello stesso accordo: le parti, pur assistite dai rispettivi due legali, si sono “dimenticate” di regolare la misura e le modalità del contributo al mantenimento sulle stesse gravante, ex lege, rispetto al comune figlio maggiorenne, ma ancora non autosufficiente sotto l’aspetto economico.

È per altro evidente come, ove il medesimo accordo, avesse preso la via giurisdizionale venendo presentato come Ricorso per la Separazione Consensuale con richiesta della relativa Omologa, il Presidente del Tribunale di Torino si sarebbe, ovviamente, dovuto opporre, nel corso della udienza presidenziale, rilevando la mancanza di ogni previsione, per il soddisfacimento dell’onere, esistente in capo ad entrambi i genitori, di “contribuire al mantenimento del comune figlio”.

V’è da dire che, nello svolgersi dell’udienza presidenziale, l’ipotizzata omissione si sarebbe potuta correggere, come spesso accade quando rispetto al contenuto del Ricorso consensuale l’opera del presidente, interviene, con il beneplacito delle parti presenti, a specificare meglio alcuni aspetti dell’accordo, da sottoporre alla successiva omologa.

Al contrario l’iter dell’Accordo raggiunto nell’ambito della de-giurisdizionalizzazione non consente alcun “correttivo”, potendo il passaggio presso l’ufficio del PM consentire solo due esiti: il rilascio o il non rilascio del placet.

La mancata previsione di un “elemento essenziale” nell’Accordo separativo ed il conseguente mancato rilascio dell’autorizzazione del PM ha, in ogni caso, il pregio di aver generato uno dei primi “pronunciamenti” in merito al percorso che si dovrà seguire nel caso di un Accordo separativo che “non abbia” l’autorizzazione del PM.

I principi ermeneutici affermati dal Tribunale di Torino, intervengono infatti ad illustrare sia la natura della “Autorizzazione”, sia il successivo “iter procedimentale” che può immaginarsi come necessario in forza del dettato normativo.

In merito al primo aspetto, l’Autorizzazione di un Accordo separativo, scaturito da una negoziazione assistita, è un vero e proprio nuovo istituto, “una fattispecie di nuova creazione, integralmente alternativa al procedimento giurisdizionale” dice espressamente la sentenza.
Tale precisazione non è di poco conto, perché con il deposito dell’accordo i due coniugi per il tramite dei rispettivi avvocati, non hanno inteso formulare alcuna domanda alla Giurisdizione, ma anzi, si sono limitate a chiedere all’Ufficio Affari Civili del Pubblico Ministero, la sola “evasione” della procedura di rilascio, concorrendone i requisiti di legge, del nulla osta o dell’autorizzazione.
Pertanto, nel caso in cui il PM rilevi la mancanza di un “requisito minimo dell’accordo” che, ex lege, debba ritenersi essenziale, lo stesso ha l’obbligo di “non rilasciare” la richiesta autorizzazione e di rimettere gli atti al Presidente del Tribunale per i successivi adempimenti.

Non di meno il “deposito” dell’atto, presso l’ufficio Affari Civili del PM per l’attività dell’Ufficio, mai potrà conferire a quella documentazione, la valenza di una “domanda” introduttiva di una “istanza alla giurisdizione”.

La sentenza di Torino, nell’evidente necessità di dover dare un “senso concreto” alla previsione normativa (art. 6, II co.) per la quale dopo aver ricevuto l’accordo bocciato il Presidente “… fissa entro i successivi trenta giorni, la comparizione delle parti e provvede senza ritardo” ha dovuto affrontare la genericità della disposizione rilevando, correttamente, come questa sollevasse “non pochi dubbi interpretativi” e questo sia in relazione all’organo avanti al quale detta udienza deve tenersi, sia in relazione al contenuto del “provvede senza ritardo” previsto per la successiva attività giurisdizionale.

Quanto all’organo si è osservato, con molta attenzione, come a seconda del contenuto dell’accordo, sia diverso l’organo giurisdizionale cui la domanda deve essere posta seguendo l’iter del codice di rito: questo perché gli Accordi separativi che si raggiungono a seguito di una negoziazione assistita, quando abbiano a regolare una consensuale hanno il loro omologo giurisdizionale in un Ricorso per la separazione consensuale che viene trattato in comparizione dal Presidente del Tribunale: diversamente dagli Accordi per la modifica delle condizioni o di quelli che vogliano regolare la cessazione degli effetti civili del matrimonio, domande giudiziali per le quali: “la comparizione è fissata dal Tribunale in composizione collegiale”.

Per altro, come nota felicemente l’estensore della Sentenza in commento, non è affatto possibile ritenere come “a seguito della mancata autorizzazione del PM” l’Accordo si possa trasformare, sic et simpliciter, in una “domanda giurisdizionale” cui idealmente potrebbe far seguito il tipo del provvedimento, previsto dal codice di rito (omologa, sentenza di cessazione o decreto ex art. 710 – nel caso delle modifiche) per evadere una domanda di giustizia per le fattispecie regolate dall’art. 6 della legge nr. 162/14, e comunque non può sottacersi come per ottenere una delle pronunce giurisdizionali prima citate debba intervenire una “richiesta di parte” nel rispetto di tutte le norme sul principio della formalizzazione di un istanza alla Giurisdizione.
Diversamente ci si troverebbe al cospetto di un “mostro” giuridico per il quale l’accordo de-giurisdizionalizzato, in mancanza del placet del PM, darebbe ingresso, ex se, ad una procedura giurisdizionale, che si concludesse poi, pur in assenza di domanda, con uno dei provvedimenti previsti dall’ordinamento: Omologa, sentenza o decreto di modifica.

L’interpretazione corretta del dettato normativo può dunque essere quella che, in forza del riconoscimento all’Accordo (raggiunto a seguito di negoziazione assistita) della dignità di una nuova fattispecie, assolutamente innovativa rispetto al panorama esistente, l’iter da seguire sia così prospettabile: trasmesso l’accordo non munito del placet al Presidente questi fissi udienza, consentendo peraltro alle parti – così da permettere alle stesse di non aderire supinamente ai rilievi dell’Ufficio del PM e quindi di poter introdurre delle modifiche sostanziali all’Accordo depositato – di formalizzare una specifica istanza in tal senso, che quindi andrà discussa all’udienza fissata.

Osserva il Tribunale di Torino come, ove le parti non abbiano depositato alcun ricorso “integrativo” dell’Accordo e le stesse “comparendo davanti al Presidente dichiarino di aderire pienamente ai rilievi effettuati dal PM, l’accordo potrà essere autorizzato dal Presidente (di conseguenza restando nell’alveo della de-giurisdizionalizzazione di cui alla L.162/14)”.

Al contrario, ove le parti abbiano integrato, giusto lo specifico provvedimento di fissazione dell’udienza per la comparizione delle parti, l’originario Accordo – non autorizzato- con una domanda giudiziale, nel rispetto dei canoni procedurali, ben si potrà considerare il primitivo accordo “rinunciato” con l’archiviazione del relativo fascicolo e la contestuale discussione, nella medesima udienza, del “nuovo” procedimento, iscritto al ruolo giusta la domanda “giurisidizionale” correttamente formulata, così potendo provvedere “senza indugio” nel merito, con il successivo passaggio della relativa pronuncia, avanti al PM per gli adempimenti normativi previsti dalla via ordinaria.

Sorgente: NEGOZIAZIONE ASSISTITA, no del PM all’accordo di separazione: la prima pronuncia è del Tribunale di Torino




Divorzio breve, alcuni chiarimenti

Riportiamo  qui un recente articolo del Secolo XIX relativo al divorzio breve nella provincia di Savona, al quale riteniamo doveroso portare alcune annotazioni, al fine di una corretta informazione.

L’articolo riporta alcune inesattezze, contrariamente a quanto riportato dal giornalista, infatti, si può ricorrere alla separazione/divorzio con negoziazione assistita (quindi senza andare in Tribunale ma solo dall’avvocato) anche nel caso di separazione dei beni e in presenza di figli minori, di figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ovvero economicamente non autosufficienti.

Nel caso di seprazione/divorzio con negoziazione assistita, gli avvocati devono essere almeno due, la norma infatti (D.L. 132/2014, art. 6) parla di “almeno un avvocato per parte”.

Qui di seguito il testo dell’articolo.

Savona – «Il matrimonio è la causa principale del divorzio», sosteneva il comico Groucho Marx. Di sicuro, dall’introduzione della nuova legge approvata dal Parlamento, divorziare è più semplice.E anche a Savona città il cosiddetto “divorzio breve” sta iniziando a prendere piede: all’ombra della Torretta, dall’introduzione delle nuove norme alla fine di luglio, i divorzi brevi recepiti dall’ufficiale di stato civile in Comune sono stati 31, a cui devono essere aggiunte anche 11 separazioni, per un totale di 42 accordi, a cui vanno aggiunte due convenzioni di negoziazioni assistite, entrambe relative a divorzi, che sono state trascritte dall’ufficiale do stato civile del Comune di Savona.La nuova tipologia introdotta nel sistema civilistico consente di separarsi o divorziare senza mai mettere piede in tribunale ma andando in Comune o dinanzi a un singolo avvocato. Non sono più necessari quindi tre anni per dirsi addio, come previsto dalla riforma della legge Fortuna-Baslini, ma solo 6 mesi, se la separazione è consensuale, o al massimo un anno se si decide di ricorrere al giudice.Una strada “privilegiata” per chiudere un matrimonio che può essere intrapresa però – se si vuole evitare il giudice – solo in caso di separazione dei beni e soprattutto in assenza di figli. A sciorinare numeri e prospettive della novità in materia e sulla sua diffusione in città è stata Lorena Canaparo, presidente della sezione civile del Tribunale di Savona, nel corso di un convegno sul presente e il futuro della giustizia, organizzato dall’avvocato Paolo Persico.Secondo Canaparo il divorzio breve si sta diffondendo anche a Savona ma con un ritmo ancora troppo lento rispetto alla potenzialità di uno strumento che dovrebbe permettere – fatte salve le discussioni sociologiche o etiche sulla positività o meno dell’aumento dei divorzi – di snellire le procedure ed abbattere le attese nei tribunali.«I dati che possediamo, aggiornati a fine luglio, ci dicono che ci sono stati 42 accordi per sciogliere matrimoni: personalmente non credo siano molti, mi aspettavo ci fossero dati ancora maggiori – spiega la presidente della sezione civile del Tribunale di Savona – Ho chiesto agli avvocati savonesi di capire come mai i numeri siano questi e la risposta che mi è arrivata individua nella questione culturale la motivazione: in tanti ancora non hanno conoscenza di questa possibilità. Ma anche gli avvocati devono cambiare mentalità, considerate le altre opportunità che sono messe a disposizione dal legislatore».Il giudizio di Canaparo sullo strumento del divorzio breve è comunque positivo, anche se non mancano le eccezioni. Come a dire: va bene snellire le procedure e i tempi di attesa, dinanzi a casi consensuali, ma con prudenza, visto che ci possono essere casi che hanno bisogno ancora di un giudice terzo per avere un giudizio. «Qui a Savona siamo attestati su una certa linea giurisdizionale e gli avvocati sanno le soluzioni che si possono adottare e in quali casi: quando ci sono fattispecie che presentano difficoltà, bisogna restare in Tribunale».

Sorgente: Divorzi lampo, boom a Savona | Liguria | Savona | Il Secolo XIX




Separazioni e divorzi davanti all’avvocato – Comune di Genova

Un utile estratto dal sito del Comune di Genova sul divorzio breve con negoziazione assistita, occorre ricordare che  i termini per divorziare sono stati ridotti a 6 mesi (se la separazione è stata consensuale) e 1 anno (se la separazione è stata giudiziale):

Separazioni e divorzi davanti all’avvocato

L’11 novembre è entrata in vigore la Legge n. 162/2014 che prevede all’art. 6 la convenzione di negoziazione assistita da uno o più avvocati per le soluzioni consensuali di separazione personale, di divorzio e di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio.

Chi è interessato ad adottare tale nuova procedura deve rivolgersi esclusivamente ad un avvocato per la verifica dei presupposti di legge e per tutti gli adempimenti normativi previsti.

La procedura è possibile sia in assenza che in presenza di figli minori, di figli maggiorenni portatori di handicap grave e di figli maggiorenni non autosufficienti: nel primo caso l’accordo concluso è valutato esclusivamente dal Procuratore delle Repubblica, che rilascia  nullaosta; nel secondo caso (figli minori o non autosufficienti), qualora il PM riscontrasse violazioni nell’ interesse dei  figli, è necessaria anche la pronuncia del Tribunale. L’ accordo raggiunto a seguito di negoziazione assistita da avvocati è equiparato ai provvedimenti giudiziali che definiscono i procedimenti di separazione personale, di cessazione degli effetti civili o di scioglimento del matrimonio, di  modifica delle condizioni di separazione o di divorzio.

L’avvocato, una volta formalizzato l’accordo delle parti, dovrà trasmetterlo tassativamente entro 10 giorni al comune di:

• Iscrizione dell’atto di matrimonio

• Trascrizione dell’atto di matrimonio celebrato con  rito concordatario/culti ammessi o celebrato all’estero.

La documentazione, oltre che consegnata a mano all’ ufficio,  può essere inoltrata via pec al seguente indirizzo: comunegenova@postemailcertificata.it

Sorgente: Comune di Genova




È corsa al divorzio breve. I primi effetti nei Comuni.

Riportiamo un articolo pubblicato oggi sul Secolo XIX relativo al Comune di La Spezia, cominciano a vedersi i primi effetti del divorzio breve.

Il Comune di Genova, peraltro ben organizzato, fissa gli appuntamenti già a dopo l’estate.

Volendo abbreviare i tempi, è possibile rivolgersi all’Avvocato per ottenere il divorzio (o la separazione) attraverso la negoziazione assistita, cioè senza la necessità del procedimento in Tribunale, perchè la negoziazione assistita si svolge presso lo studio dell’Avvocato.

“La Spezia – Più di cento coppie spezzine hanno già incardinato, e in molti casi concluso, la propria pratica di separazione o di divorzio, presso il Comune della Spezia: dal dicembre scorso, quando è entrata in vigore la legge 162, che consente di sciogliere gli effetti civili del matrimonio direttamente all’anagrafe. Una quindicina, le coppie che hanno fatto la stessa scelta a Sarzana. Molto meno numerose, nel resto della provincia: dove molti Comuni non hanno ancora trattato alcun caso di fine rapporto coniugale.Possono far tutto in Comune, i coniugi che si separino consensualmente, e non abbiano figli minori o maggiorenni incapaci, o con grave handicap, o economicamente non autosufficienti. L’accordo non può inoltre contenere patti di trasferimento di patrimonio. Si pagano solo 16 euro, a titolo di diritto fisso, e si può scegliere se farsi assistere da un legale, oppure no. Insomma: per chi ha deciso, è molto più semplice, e meno costoso.”

Sorgente: È corsa al divorzio lampo: il Comune di Spezia oberato di lavoro | Liguria | La Spezia | Il Secolo XIX




Entra in vigore il divorzio breve

Oggi 26 maggio 2015, essendo trascorsi i previsti 15 giorni dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, entra in vigore il divorzio breve (Legge 6 maggio 2015, n. 55)

Da oggi quindi è possibile separarsi e divorziare in 6 mesi e, utilizzando la negoziazione assistita, non occorre neanche andare in Tribunale.

Clicca qui per vedere come funziona il divorzio breve.




Pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Legge sul divorzio breve – Legge 6 maggio 2015, n. 55

Da quando è in vigore il divorzio breve  ?

E’ stata ufficialmente pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale oggi, 11 maggio 2015, la Legge sul divorzio breve.

La Legge entra in vigore il giorno 26/05/2015

Ecco il testo della Legge così come pubblicato

Legge 6 maggio 2015, n. 55
(GU Serie Generale n.107 del 11-5-2015)

La  Camera  dei  deputati  ed  il  Senato  della  Repubblica  hanno
approvato; 
 
                   IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 
 
 
                              Promulga 
 
la seguente legge: 
 
                               Art. 1 
 
  1.  Al  secondo  capoverso  della  lettera  b),  del   numero   2),
dell'articolo 3 della legge 1° dicembre 1970, n.  898,  e  successive
modificazioni, le parole: « tre  anni  a  far  tempo  dalla  avvenuta
comparizione dei coniugi innanzi al presidente  del  tribunale  nella
procedura  di  separazione  personale  anche   quando   il   giudizio
contenzioso si sia trasformato in consensuale» sono sostituite  dalle
seguenti: «dodici mesi dall'avvenuta comparizione dei coniugi innanzi
al presidente del tribunale nella procedura di separazione  personale
e da sei mesi nel caso di separazione consensuale,  anche  quando  il
giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale». 
Avvertenza: 
              Il testo delle note qui  pubblicato  e'  stato  redatto
          dall'amministrazione  competente  per  materia,  ai   sensi
          dell'art.  10,  commi  2  e  3,  del  testo   unico   delle
          disposizioni    sulla    promulgazione     delle     leggi,
          sull'emanazione dei decreti del Presidente della Repubblica
          e sulle pubblicazioni ufficiali della Repubblica  italiana,
          approvato con D.P.R. 28 dicembre 1985,  n.  1092,  al  solo
          fine di facilitare la lettura delle disposizioni  di  legge
          modificate o alle  quali  e'  operato  il  rinvio.  Restano
          invariati il valore e l'efficacia  degli  atti  legislativi
          qui trascritti. 
 
          Note all'art. 1: 
              Si riporta il testo dell'art. 3 della legge 1° dicembre
          1970, n. 898  (Disciplina  dei  casi  di  scioglimento  del
          matrimonio), come modificato dalla presente legge: 
              «Art. 3 . 1. Lo  scioglimento  o  la  cessazione  degli
          effetti civili del matrimonio puo' essere domandato da  uno
          dei coniugi: 
              1) quando, dopo la celebrazione del matrimonio, l'altro
          coniuge  e'  stato  condannato,  con  sentenza  passata  in
          giudicato, anche per fatti commessi in precedenza: 
                a) all'ergastolo ovvero ad una pena superiore ad anni
          quindici, anche con piu' sentenze, per uno o  piu'  delitti
          non colposi, esclusi i reati politici e quelli commessi per
          motivi di particolare valore morale e sociale; 
                  b) a qualsiasi pena detentiva per il delitto di cui
          all'art. 564 del codice penale e per uno dei delitti di cui
          agli articoli 519, 521, 523 e 524 del codice penale, ovvero
          per induzione, costrizione, sfruttamento o  favoreggiamento
          della prostituzione; 
                  c) a qualsiasi pena per omicidio volontario  di  un
          figlio ovvero per tentato omicidio a danno del coniuge o di
          un figlio; 
                  d) a qualsiasi  pena  detentiva,  con  due  o  piu'
          condanne, per i delitti di cui all'art. 582, quando ricorra
          la circostanza aggravante di cui al secondo comma dell'art.
          583, e agli articoli 570, 572 e 643 del codice  penale,  in
          danno del coniuge o di un figlio. 
              Nelle ipotesi  previste  alla  lettera  d)  il  giudice
          competente a pronunciare lo scioglimento  o  la  cessazione
          degli effetti  civili  del  matrimonio  accerta,  anche  in
          considerazione del comportamento successivo del  convenuto,
          la  di  lui  inidoneita'  a  mantenere  o  ricostituire  la
          convivenza familiare. 
              Per tutte le ipotesi previste nel n.  1)  del  presente
          articolo la domanda non e' proponibile dal coniuge che  sia
          stato condannato per concorso nel reato  ovvero  quando  la
          convivenza coniugale e' ripresa; 
                2) nei casi in cui: 
                  a) l'altro  coniuge  e'  stato  assolto  per  vizio
          totale di mente da uno dei delitti previsti  nelle  lettera
          b) e c) del numero 1)  del  presente  articolo,  quando  il
          giudice competente  a  pronunciare  lo  scioglimento  o  la
          cessazione degli  effetti  civili  del  matrimonio  accerta
          l'inidoneita' del convenuto a mantenere o  ricostituire  la
          convivenza familiare; 
                  b) e' stata pronunciata  con  sentenza  passata  in
          giudicato la separazione giudiziale fra i  coniugi,  ovvero
          e' stata omologata la  separazione  consensuale  ovvero  e'
          intervenuta separazione di fatto quando la  separazione  di
          fatto stessa e' iniziata  almeno  due  anni  prima  del  18
          dicembre 1970. 
              In tutti i predetti casi,  per  la  proposizione  della
          domanda di  scioglimento  o  di  cessazione  degli  effetti
          civili  del  matrimonio,  le  separazioni  devono   essersi
          protratte   ininterrottamente   da   almeno   dodici   mesi
          dall'avvenuta   comparizione   dei   coniugi   innanzi   al
          presidente del tribunale  nella  procedura  di  separazione
          personale  e  da  sei  mesi   nel   caso   di   separazione
          consensuale, anche quando il giudizio  contenzioso  si  sia
          trasformato in consensuale, ovvero dalla  data  certificata
          nell'accordo  di  separazione  raggiunto   a   seguito   di
          convenzione di negoziazione assistita da un avvocato ovvero
          dalla data dell'atto contenente  l'accordo  di  separazione
          concluso  innanzi   all'ufficiale   dello   stato   civile.
          L'eventuale  interruzione  della  separazione  deve  essere
          eccepita dalla parte convenuta. 
                  c) il procedimento penale promosso  per  i  delitti
          previsti dalle lettere b) e  c)  del  n.  1)  del  presente
          articolo  si  e'  concluso  con  sentenza  di  non  doversi
          procedere per  estinzione  del  reato,  quando  il  giudice
          competente a pronunciare lo scioglimento  o  la  cessazione
          degli effetti civili del matrimonio ritiene che  nei  fatti
          commessi  sussistano  gli   elementi   costitutivi   e   le
          condizioni di punibilita' dei delitti stessi; 
                  d)  il  procedimento  penale  per  incesto  si   e'
          concluso con sentenza di proscioglimento o  di  assoluzione
          che dichiari non punibile il fatto per mancanze di pubblico
          scandalo; 
                  e)  l'altro  coniuge,   cittadino   straniero,   ha
          ottenuto all'estero l'annullamento o  lo  scioglimento  del
          matrimonio o ha contratto all'estero nuovo matrimonio; 
                  f) il matrimonio non e' stato consumato; 
                  g)   e'   passata   in   giudicato   sentenza    di
          rettificazione di attribuzione di sesso a norma della legge
          14 aprile 1982, n. 164.».
  Art. 2 
 
  1. All'articolo 191 del codice  civile,  dopo  il  primo  comma  e'
inserito il seguente: 
    «Nel caso di separazione personale, la comunione tra i coniugi si
scioglie nel momento in cui il presidente del tribunale  autorizza  i
coniugi a vivere separati, ovvero alla  data  di  sottoscrizione  del
processo verbale di separazione consensuale dei  coniugi  dinanzi  al
presidente, purche' omologato. L'ordinanza con  la  quale  i  coniugi
sono autorizzati a vivere separati e' comunicata all'ufficiale  dello
stato  civile  ai  fini  dell'annotazione  dello  scioglimento  della
comunione». 
Note all'art. 2: 
              Si riporta il testo dell'art. 191  del  codice  civile,
          come modificato dalla presente legge: 
                «Art. 191. Scioglimento della comunione. 
              La  comunione  si  scioglie  per  la  dichiarazione  di
          assenza o  di  morte  presunta  di  uno  dei  coniugi,  per
          l'annullamento, per lo scioglimento  o  per  la  cessazione
          degli effetti civili del  matrimonio,  per  la  separazione
          personale, per la  separazione  giudiziale  dei  beni,  per
          mutamento convenzionale del  regime  patrimoniale,  per  il
          fallimento di uno dei coniugi. 
              Nel caso di separazione personale, la comunione  tra  i
          coniugi si scioglie nel momento in cui  il  presidente  del
          tribunale autorizza i coniugi  a  vivere  separati,  ovvero
          alla  data  di  sottoscrizione  del  processo  verbale   di
          separazione consensuale dei coniugi dinanzi al  presidente,
          purche' omologato. L'ordinanza con la quale i coniugi  sono
          autorizzati a vivere separati e'  comunicata  all'ufficiale
          dello  stato  civile   ai   fini   dell'annotazione   dello
          scioglimento della comunione. 
              Nel caso di azienda di cui alla  lettera  d)  dell'art.
          177, lo scioglimento della comunione  puo'  essere  deciso,
          per  accordo  dei  coniugi,  osservata  la  forma  prevista
          dall'art. 162.».
   Art. 3 
 
  1. Le disposizioni di cui agli articoli  1  e  2  si  applicano  ai
procedimenti in corso alla data di entrata in vigore  della  presente
legge, anche nei casi in cui il procedimento di  separazione  che  ne
costituisce il presupposto  risulti  ancora  pendente  alla  medesima
data. 
  La presente legge, munita del sigillo dello Stato,  sara'  inserita
nella  Raccolta  ufficiale  degli  atti  normativi  della  Repubblica
italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla
osservare come legge dello Stato. 
    Data a Roma, addi' 6 maggio 2015 
 
                             MATTARELLA 
 
 
                         Renzi, Presidente del Consiglio dei ministri 
Visto, il Guardasigilli: Orlando 




Il divorzio breve

Finalmente anche in Italia il divorzio breve

La tanto attesa riforma in materia di separazione tra i coniugi è stata finalmente approvata in modo definitivo in data 21 aprile 2015 dalla Camera dei Deputati.
Vediamo nello specifico le novità introdotte dal disegno di legge n. 1504.
Grazie alla riforma i tempi per potersi dire addio sono stati decisamente accorciati (rispetto ai precedenti che, come noto, prevedevano un tempo di tre anni tra la separazione e il divorzio).
Il disegno di legge riduce da tre anni a 12 mesi la durata della separazione per poter presentare domanda di divorzio; in caso di separazione consensuale la durata è di 6 mesi, termine che decorre dalla comparizione dei coniugi dinanzi al Presidente del Tribunale.

La nuova norma si applicherà anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della legge, anche qualora la procedura di separazione risulti ancora pendente.

Nel caso in cui i coniugi siano in regime di comunione dei beni, tale accordo decade nel momento in cui il presidente del Tribunale autorizza i coniugi a vivere separati.

Al fine di non ostacolare l’approvazione del disegno di legge iniziale sono state invece stralciate le norme relative al divorzio lampo, in quanto oggetto di posizioni politiche contrastanti.
Il divorzio lampo prevedeva la possibilità di giungere al divorzio anche in assenza di un previo periodo di separazione, in particolare consentiva di ottenere il divorzio in 6 mesi, a patto che la richiesta fosse consensuale e a condizione che i due coniugi non avessero figli minori, figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave o figli di età inferiore ai 26 anni economicamente non autosufficienti.
Tale norma diventerà oggetto di un autonomo disegno di legge.

Grossa apertura, pertanto, in materia del diritto di famiglia se si pensa che in Italia il divorzio è stato introdotto il 1° dicembre del 1970, con non poche difficoltà e polemiche che hanno portato i partiti contrari all’introduzione della legge, a promuovere un referendum abrogativo della Legge n. 898/1970 . Tuttavia la maggioranza della popolazione, nel ’74, ha affermato la volontà di mantenere le norme sul divorzio.